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Gli internati militari italiani

Internati Militari Italiani: storie di uomini, di soldati. Storie poco conosciute. Storie di sofferenza, di privazione e di morte. Storie di vivi, di coloro che sono tornati nelle proprie case, tra la vergogna e il timore di non essere riconosciuti dai propri cari. Sono queste le storie che sono state raccontate durante l’incontro “Gli internati militari italiani: Il contributo dei nocesi alla Resistenza”, tenuto il 30 maggio presso il Chiostro di San Domenico, i cui protagonisti sono stati due soldati: l’uno, Antonio Colaleo, la cui storia è stata raccontata da Antonella Bartolo Colaleo nel libro “Matite sbriciolate”; l’altro, Nicola Giacovelli, che con i suoi quasi 98 anni, ha raccontato, tra gli ultimi testimoni diretti a poterlo fare, la sua vicenda.

Ripercorrere queste fasi della storia italiana, attraverso i suoi protagonisti, è fondamento dell’educazione dei giovani, come ricordato dalla dirigente prof.ssa Roberto Roberto dell’IISS Da vinci Agherbino nel suo saluto, cui è seguito quello dell’Amministrazione comunale rivolto dall’assessore Marta Jerovante. All’autrice del libro il compito di fare da guida nelle storie dei due protagonisti, tracciando la vicenda di suo suocero attraverso i disegni che in modo rocambolesco riuscì a realizzare e a portare a casa e quella del sig. Giacovelli.

È a lui che viene chiesto di testimoniare la sua sorte, uguale a quella toccata ad altre centinaia di migliaia soldati italiani (si stima oltre 650.000). Dopo l’8 settembre 1943, le armate italiane si ritrovarono allo sbando, senza ordini, in balia dei militari tedeschi che occupavano l’Italia. A lui toccò, il 27 settembre 1943, il viaggio estenuante verso la Germania, in carri bestiame (Dove stavamo così stretti da non riuscire neanche a piegarci, dove pregavamo che i bombardamenti colpissero il vagone su cui eravamo stipati - racconta il sig. Nicola) per poi giungere a due diversi destini: agli ufficiali veniva chiesto di scegliere se aderire alla neonata Repubblica di Salò; in caso di rifiuto venivano trasportati nei campi di concentramento. I soldati venivano invece costretti a lavorare per il Terzo Reich, nelle fabbriche, oppure a Berlino, dove il loro compito principale consisteva nella rimozione dei cadaveri dalle macerie dei bombardamenti.

In comune, per tutti, privazioni, sporcizia, fame. "A un certo punto mi salvai perché pesavo 37 chili - racconta sempre il sig. Nicola – i compagni che pesavano 35 chili furono condotti alla morte. Io sono sopravvissuto a quegli anni – continua Nicola. In tanti non ce l’hanno fatta: ho condiviso questa esperienza con altri 5 nocesi ma sono rimasto l’unico a poter raccontare questa storiaAl nostro ritorno in patria ricevemmo una somma di denaro (13.000 Lire) che, su invito dei Comandi, depositammo in banca. Non abbiamo più visto quei soldi. Dal 1985 riceviamo una somma in quanto prigionieri di guerra: 25 Euro al mese" continua Nicola non nascondendo disappunto e amarezza.

"Siamo portati a pensare che le storie che riguardano un gran numero di persone non ci appartengano – ha concluso il prof. Pellegrino, coordinatore insieme al prof. Novembre dell’attività - La testimonianza del sig. Giacovelli, dando nome e volto a queste storie “di massa”, ci aiuti a farci coinvolgere e a sentirci umanamente più vicini alle vicende che raccontano".

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